Inquietudine

Tutto cominciò con una e-mail di Sandro dal Brasile:

Ario ti aspetto, ho la necessità impellente di chiacchierare… pensa solo al biglietto aereo. Andata e Ritorno con cinquecento-seicento euro posi il culo sul territorio Carioca. Al resto ci penso io.

Prima o poi dovrò andarci: le promesse sono promesse.

Cinque minuti è il volo partirà. Ho allacciato la cintura e reclinato la testa fino a toccare la parte anatomica del sedile; sento il rullare delle eliche dei motori sempre più forte; tra un po’ la forza di gravità mi inchioderà al sedile e in diciotto minuti sarò a diecimila metri di altezza. Chiudo gli occhi e tutto intorno a me si dirada. La mente viaggia nel tempo e nello spazio. Va per i fatti suoi, parodiando se stesso sugli avvenimenti degli ultimi mesi.

Tutti i siti nel circuito web hanno la mia richiesta di un biglietto aereo per il volo Milano-Natal [3] andata e ritorno. Il mio BookAir sforna a ripetizione offerte: tutte al di sopra di mille euro. Ormai, dopo la richiesta, navigare in pace è un un’utopia. Un continuo martellamento. Banner, video, speaker… come posso navigare, in queste condizioni? «Oh! dico a te “pezzo di metallo”; i prezzi sono alti, tutti al di sopra dei mille euro! Possibile che non riesci a trovare qualcosa di decente?». Il BookAir serio. Non fa una piega.

«Oh! Dico a te “pezzo di metallo”! Possibile che passano giorni e non si muove foglia che tu non voglia! Appena faccio capolino in una pagina web mi spari a laser tutti i tipi di banner: piccoli-medi-grandi. Guarda qui: offerte di andata e ritorno a trecentosessanta e ancora cinquecento e seicento cinquanta euro. Sarà la volta buona? Dai facciamoci un giroclick: madonna del volo! Mille e novantanove. Click… mille cento quarantanove. Click… mille e cento novantanove euro. Questa è pubblicità ingannevole ma non erano trecento sessanta nel banner… rompi coglioni?».

Indispettito mostro il dito indice all’Book Air in segno di ordine: «Sentimi bene, anche se sono un po’ uno stordito, mi devi indicare la strada per dirgliene quattro a questi pezzi di merda. Non trovo come fare. Ho bisogno di sfogarmi! sputargli in faccia!».

Blink! Blink! «Ancora due! Ehi! Mi ascolti? Sei lì immobile, guarda questa: mille e duecento euro e mi minaccia di affrettarmi perché ci sono ancora, solo, otto posti e in questo momento ci sono centoventi visitatori sul sito. Ma è un bluff! Un ricatto! Non dovrebbe essere permesso. Una presa per il culo. Fai qualcosa, non pubblicare, protesta, butta tutto in spam!». Niente da fare. Penso: «Sarà, per le bestemmie o per san Gennaro che non ha mai digerito il fatto che contestai lo scioglimento del suo sangue all’allora Arci Cardinale di Napoli? Poi inquisito! Sotto i mille euro non ci sono santi».

I neuroni sembrano impazziti: Inserisco id-pin-password-username e poi via nel fantastico mondo di Internet… sto leggendo e approfondendo le enormi problematiche delle “rain forest” in modo particolare la foresta pluviale del Brasile, ma che roba, spaventoso: dove vogliono andare a parare! Stanno massacrando e depauperando il “Polmone del Mondo e… Blink! Blink! Blink! Ecco altri tre banner, proprio sopra la lettura. Imbestialito cerco di chiuderli: «Che cazzo ho toccato? Stronzo! Stronzone! Doppiamente stronzo! Cosa ho combinato? È andato tutto a mazzo e quaranta! E adesso? E tu, “pezzo di metallo”, che fai? Te la ridi sotto i baffi e resti immobile? Strido i denti, tiro un pugno al tavolo e sbraito: adesso ti spacco il vetro, ti dò un cazzotto, ti sbatto contro il muro… Ehi! Ehi! calmo costa mille e duecento cinquanta euro; ragiona… spengo? Devo fare uno spegnimento forzato? Santa protettrice della tecnologia, dammi una mano tu. Che faccio adesso? Air, come posso fidarmi di te e di quel pistolotto di fratellino dell’iPhone?».

I due immobili: come soldati sull’attenti!

«Mi chiedo: come fanno a dire che siete intelligenti?». Il computer, irritato, apre la bocca a mo’ di papero: «Adesso basta, hai rotto i coglioni. Quando è troppo è troppo. Prima cosa, non offendere mio fratellino. Se tu sei un demente rincoglionito non possiamo farci niente».

IPhone: «Ben detto fratello».

Air: «Seconda cosa, non sbaglio mai, eseguo alla perfezione gli input che mi dai. Terza cosa: coglionazzo, all’ennesima potenza, chiudi tutte le pagine web aperte e sotto troverai un pop-up4, clicca sul “Sì” o “No” in modo che posso riattivarmi: capito! Quarta cosa: vai a fare qualche work shop. Ah! Fringuello di paese, se vuoi fare delle proteste agli inserzionisti, vai sul loro sito Internet e fai una e-mail di rimostranza. Hi! Hi! Hi!».

«Che ti ridi?».

Book Air: «Tra dieci anni starai ancora aspettando la risposta».

Una dolce e soave voce portoghese, probabilmente, rubata al canto del Fato mi riporta alla realtà: «Senhoras e senhores que servimos o jantar…».5

«Ora che ci ripenso mi viene da sorridere, ma un po’ di madonne le ho tirate. Usano metodi poco trasparenti. Fanno un uso scorretto della tecnologia, ma chi deve controllare sulla pubblicità ingannevole?».

Alla fine… con ottocento cinquantasette euro. Brasil! Brasil!

«Senhoras e senhores, Sao 23.00 chegamos ao aeroporto de Natal…».6

Ma com’era cominciato tutto? Era alto biondo; lineamenti duri che accerchiavano un viso non comune e un portamento del tipo mi chiamo Bond… due occhi azzurri e un passo lungo da bulletto di quartiere.

Mentre mi veniva incontro osservava tutto quello che lo circondava… innanzitutto le femmine.

Penso tra me e me: «Troppo giovane. No, non era un tipo adatto al ruolo che ci necessita… altro tempo sprecato».

Fu la mia prima reazione in quella frazione di secondi che ci divideva.

Allungò la mano e prima di darmi il tempo di alzarmi: «Sandro postato… lei è Ario?».

«Sì» risposi, porgendo a mia volta la mano: «Prego si accomodi».

«Devo essere franco, il suo curriculum vitae non l’ho ritenuto idoneo per il ruolo che dobbiamo coprire; per questo non l’ho convocata per una prima selezione. Poi, la mia segretaria mi ha detto che ha insistito più volte! Questo mi ha incuriosito. Leggo che ha quarant’anni. Complimenti, di persona mostra molto meno».

Sandro diventò serissimo, sul viso si leggeva l’insicurezza e l’imbarazzo. Si guardò intorno che nessuno ascoltasse accavallò le lunghe gambe, spinse la sedia più vicino alla scrivania, appoggio ambedue i gomiti e a bassa voce, mi chiese: «Senta signor Ario. Se le narro la mia esistenza, anzi le mie due vite, come tanti altri riderà di me?».

Non feci una piega: «Ma si figuri. Vada!».

Si passò, amorevolmente, le dita sulla fluente chioma bionda e proseguì: «Avevo solo ventitré anni e da quattro rappresentavo una nota società di cancelleria giapponese. Era il nove agosto, ultimi appuntamenti per quelle poche cartolerie che non chiudevano per ferie. Milano era semideserta, mi spostavo agevolmente da un punto all’altro della città.

Non ricordo nulla, ma nel verbale dei “ghisa” – così chiamavamo i vigili urbani a Milano – il contachilometri si fermò a novantacinque chilometri orari. Erano le cinque del pomeriggio, ancora un paio di appuntamenti e poi tre settimane con Patrizia in Sardegna. L’euforia a volte fa brutti scherzi: cantando a squarciagola imboccai, oltrepassando la linea continua, il sottopassaggio di viale Ludovico Scarampo. Divieto assoluto di sorpasso. Nella corsia opposta, un altro pirla – scusi la volgarità – forse: cantando a squarciagola, fece la stessa cosa. Un terribile frontale.

Mi ritrovai steso su un lettino nella camera mortuaria dell’ospedale San Carlo. Ricordo perfettamente che mi ero sdoppiato, la mia parte cosciente fluttuava a due tre metri di altezza dalla mia parte corporea. Due camici bianchi scuotevano la testa in senso negativo: ero immobile tutto tumefatto e cadaverico sul lettino. Dall’alto cercai di scuotermi. Poi mi sedetti sulla riva del mare fissando le onde in burrasca; che lentamente iniziarono a diventare sempre più piccole, sempre più piccole fino a che non c’era più nessuna increspatura, toccarono la riva e si spensero su un brecciolino fine fine. Il mare diventò una superficie liscia perfettamente ferma. Mi immersi e sentii la carezza vellutata dell’acqua su tutto il corpo. Nuotai verso l’orizzonte, l’acqua trasparente mi permetteva di non perdere di vista la mia parte corporea. Continuai a incitarmi, più volte, a muovermi. Poi tutto tacque.

La cartella clinica parla di un anno in sala rianimazione sotto terapia farmacologico. Il tredici agosto di un anno dopo, l’infermiera del reparto mi trovò con gli occhi aperti. Terapie, riabilitazione, anni eccetera… di più e di tutto ed eccomi qua. Il vecchio Sandro se ne andò, ma ha scosso e ridato vita al nuovo Sandro. Vede: non ho nemmeno una ruga, non un dolorino e che pelle liscia!».

Non mossi ciglia, immobile e imperturbabile chiedo: «Sandro vedo che lei non vive più a Milano ma a Torino e…».

Mi interruppe: «Per me viale Ludovico Scarampo diventò un incubo: tenga presente che l’altro signore è morto sul colpo… era un uomo di trentasei anni con due figli piccoli».

Gli occhi si inumidirono e: «Mio padre morì di crepacuore e ciliegina sulla torta: Patrizia, quando mi svegliai, era incinta di tre mesi e non ebbe mai il coraggio di venirmi a trovare».

Signor Ario: «Per favore mi dia questo lavoro ne ho un bisogno vitale».

Sandro per quindici anni è stato un collaboratore attento, capace, vitale, sempre disponibile… che dico collaboratore: un grandissimo amico con la A maiuscola.

Gli impegni erano tanti. Gravosi sia fisicamente che mentalmente. Passava il tempo e metteva il timbro sugli anni. L’amicizia tra noi due si rafforzò. In un viaggio a Lisbona, Sandro conobbe, per caso, Janet. Una giovane brasiliana con l’hobby della fotografia. Lei si poteva permettere questo e altro perché apparteneva a una facoltosa famiglia di medici di San Paolo.

«Sai Ario. Questa è la volta buona».

Esordì al suo ritorno: «Se lei acconsente. La sposo».

«Addirittura» risposi incredulo.

Un mese dopo, arrivò a razzo nel mio ufficio e cominciò a girare su se stesso; sembrava un cane che voleva mordersi la coda: «Oh no! Oh no! Oh cazzo! È incinta cazzo! Cazzo è incinta è adesso?».

Lo interruppi: «Chi scusa?»

«Janet: chi se no? Ma sì! Ma sì! Ma come cazzo è possibile che per una volta sia rimasta incinta? E poi è sempre a zonzo non vorrei che!».

Sarcastico: «Ma l’hai zompata senza uscire?».

Dario: «Fino all’ultima goccia… anzi siamo stati abbracciati senza staccarci per un buon quarto d’ora».

Riconobbe la bimba senza emettere una sillaba. Due tre volte all’anno, quando il lavoro lo permetteva, andava a trovare Janet e Nancy – il nome dato alla bimba.

Cinque anni dopo, smantellarono l’organizzazione. Da un giorno all’altro eravamo tutti disoccupati. Saltuariamente. Ci sentiamo.

Sbarco in un aeroporto nuovo di zecca. Quasi due ore di fila tra il ritiro valigie, adempimento burocratico e controllo bagagli.

Tra me e me: «Ma zozza la miseria è mai possibile che nel 2016, con tutte le tecnologie a disposizione, siamo ancora al Medioevo?».

Oltre la transenna c’è Sandro; non posso non riconoscerlo, un po’ stempiato; qualche ruga in più, abbronzatissimo. Un cinque e un abbraccio alla vecchia maniera, i soliti convenevoli, parve che il tempo non fosse mai passato. fuori dall’aeroporto, nonostante è la una di notte, una folata di vento equatoriale, mi asciuga tutta l’umidità assorbita a Milano per anni. Carichiamo le valige sul fuoristrada di Dario e partiamo.

«Questa notte, Ario, andremo a dormire tardi come ai vecchi tempi: che si dice a Milano?».

Alzo le spalle: «Lascia perdere, sai che è una città chiusa. Piuttosto, sei tu che hai tanto da raccontare: cosa e successo dopo che ci hanno lasciato in brache di tela?».

Dario: «Venni in Brasile, a San Paolo, e già avevano preparato il matrimonio. Dopo una settimana avevo l’anello al dito. Prudentemente, delicatamente… sono riuscito a conquistarmi la fiducia di mia figlia e questo per me fu vitale».

Sorride felice e continua: «Janet, ha due genitori medici: ambedue chirurghi, molto apprezzati. Ne consegue, che appartengono all’alta borghesia sia come cultura che come portafoglio».

Qualche chilometro dall’aeroporto, la strada e semi asfaltata e con qualche buca.

Dario: «Dopo qualche settimana, cominciai a essere insofferente: al dolce far niente. Raccomandai a Janet di escogitare qualsiasi cosa che mi tenesse occupato. Ma le opportunità, per uno che non aveva famigliarità con la lingua portoghese, non furono molte. Cominciai a essere irrequieto e scontroso, non ero abituato a fare una beata minchia».

Fece una pausa di riflessione: «Mi conosci no? Ero arrivato a minacciare di tornare in Italia».

Intanto la strada è in terriccio battuto e senza luci. Buio pesto.

Chiedo: «Scusa Sandro, ma quanti chilometri di questa strada dobbiamo fare?».

«Da qui, circa cento».

«A bene, a che ora arriviamo a destinazione?»

«Non ti preoccupare, fino adesso per parlare sono andato piano ma adesso innestiamo la quinta».

Un po’ invecchiato: «Ma non si vede una beata mazza».

«Alleluia! Non mi dire che hai paura? La faccio due volte alla settimana per fare shopping per la Posada. Hai dimenticato quando percorrevamo la strada secondaria che da Al Qamishli portava a Mosul.7 Porca zozza, quella sì che era piena di buchi, sassi giganti, e il rischio di saltare su una mina inesplosa».

Mi illumino: «È vero. Che avventure. Sai a volte ho nostalgia! E dopo le minacce?».

Dario prosegue: «Una sera Miguel e Estela, papà e mamma di Janet, ci riunimmo tutti nel patio della loro meravigliosa villa. E dopo avere chiarito che la proposta sul tavolo era stata discussa sia con Estela sia con Janet».

Attaccò: «Quattro anni fa! Noi due decidemmo di fare un investimento a San Cristobal Do Rosto a nord-est, vicino all’equatore in una Posada di lusso. Eravamo estasiati dalla bellezza della zona. A cento metri dal mare c’era un pezzo di terreno in vendita a un prezzo ridicolo. Contattammo il migliore architetto della zona – un italiano – e un anno dopo inaugurammo “Mi Paixao”. Uno splendore. Ora è in gestione a uno spagnolo. Ma a fine anno scade il contratto. Dario vai e valuta… non sarebbe male se tornasse totalmente in seno alla famiglia».

Nonostante il buio pesto, Dario, schiacciava sull’acceleratore eravamo a metà percorso; non incontravamo un’anima viva. Era proprio come la Siria e l’Iraq: ma lì c’è la guerra.

Dario: «Tre ore e mezzo di volo, e dal caos della mega città di San Paolo a questa strada battuta». Per tranquillizzarmi continuò: «Credimi, qualche anno fa, era molto peggio. Mi venne a prelevare un pulmino della Posada. Per evitare le buche ci impiegammo due ore e mezzo o anche tre, contro un oretta e un quarto di oggi».

Improvvisamente, dal lato destro un cavallo ci taglia la strada. Solo la prontezza di riflessi di Dario evita il peggio.

«Porca puttana» esclamo «stai a vedere, che non siamo morti in zone di guerra per lasciarci la pellaccia qui».

Dario è scosso. Rallenta tantissimo: «A onere del vero non è raro che qualcuno ci lascia la pelle. Qualche settimana fa una mucca è entrata, difilata dal vetro anteriore di un pulmino a otto posti: tre morti e due feriti. Bisogna viaggiare al centro, luci abbaglianti e massima concentrazione. Ma nulla da fare, quando spuntano di corsa e all’improvviso». Frena di colpo e: «Guida per favore, una volta e più che sufficiente».

Certi ricordi sono indelebili.

Resta in silenzio, d’un tratto tutto tornò a trent'anni prima.

Cambio discorso: «Mi spieghi che cazzo sta succedendo a questo grande paese, pieno di materie prime? La Dilma e sotto impeachment e destituita dalla presidenza. Lula è sotto accusa per appropriazione indebita. Temer, il sostituto, di corruzione».

Dario annuisce: «La corruzione! Ario, la corruzione!».

Do corda: «Quello che mi strugge sono le condizioni della “Foresta Pluviale Amazzonica”, ho visto dei video a dir poco sconvolgenti. Zone interamente sventrate, alberi abbattuti a milioni indiscriminatamente; pure esemplari secolari. Intere aree depauperate dalla vegetazione e animali in sofferenza».

«La corruzione! Ario, la corruzione!».

Incazzato: «Pezzi di merda, sfruttano indiscriminatamente le risorse prime e tutto il resto. Ha vantaggio di pochi. Per loro l’unica preoccupazione è incamerare miliardi di dollari all’anno. E non glie ne può fregare di meno, se ogni anno spariscono aree grandi come lo Stato austriaco.

Dario annuisce: «La corruzione… la corruzione… Ario. Pensa, che mio suocero ha ricostruito l’uccello, insomma lo ha allungato, a un politico di una certa importanza. In via confidenziale gli ha sussurrato che ben il 75% dei politici brasiliani sono corrotti». Dario è di nuovo con me: «Ma non pensare che la media e alta borghesia siano migliori: prendi mio suocero, incassa un sacco di soldi in nero; e sai dove li porta? A Miami caro mio. Si proprio nello Stato statunitense della Florida. Gli do man forte: «È vero, è stato appurato che tutti i ricconi degli Stati dell’America Latina portano i soldi a Miami».

Mancano pochi chilometri alla meta. La strada peggiora e cominciamo ad attraversare piccoli paesini che costeggiano il mare.

Dario mi avvisa: «Ario attento ci sono dei dossi per rallentare la velocità».

Sorpreso: «Alla faccia del buon samaritano» esclamo «li chiami dossi! ma questi sono veri e propri muretti in cemento armato. Sono quadri e minimo 40 centimetri di altezza!».

«E si, non si è potuto fare diversamente, con la scusa che qui i locali aggiustano le auto e le moto in autonomia; i normali dossi li usavano come trampolini per fare salti. I sindaci sono stati obbligati a questi obbrobri». Sopra di noi la stellata è indescrivibile.

Accenno: «Be, allora sei un benestante, te la passi bene».

Dario: «Si, ma questo, attenzione, è un paese pericolosissimo. Pensa: Natal è una città di 800 mila abitanti dove avvengono 2000 omicidi all’anno. Puoi immaginare i numeri di Rio De Janeiro e di San Paolo. C’è troppa disuguaglianza sociale, specialmente nelle grandi metropoli e quando tua figlia esce di casa eh…sono cazzi di pensieri. Conosco gente che tutti i giorni passano davanti a casa e rovistano nei cassonetti dell’immondizia. E ricchi da fare schifo, che usano i Real per fare i bussolotti per le cerbottane da usare per scacciare gli uccelli».

Realista: «Senti Dario, Perlomeno, il 75% della popolazione globale è a chiappe nude per aria a novanta gradi. Non mi capacito; sparsi per il pianeta, nei cento paradisi fiscali, una indagine rivela che, ci sono venti mila miliardi di dollari depositati nei vari conti correnti».

«E quanti zeri sono?» chiede Dario.

«Sappi che il P.I.L. ⎯ Prodotto Interno Lordo ⎯ di USA, Europa e Giappone e mettiamoci pure San Marino; non pareggiano la cifra. Parlo di ventimila miliardi, rimessi in circolo, risanerebbe la Grande Nonna. In breve tempo darebbero sollievo e lavoro alla parte più povera delle popolazioni».

«La Grande Nonna!» esclama Dario.

«Ma si dai, sai che sono un non credente incallito, sono molto vicino ai Sioux Lakota e alle tribù africane sono un animico. A dir la verità i nonni sono cinque. Ma questo è tutta un’altra storia». Mancava un quarto d’ora per la Posada. «Non manca» continuo «l’assurdo in queste storie di ordinaria follia. Il 20% di questa massa monetaria non viene mai più reclamata».

«Scusa Ario, stai dicendo che non si fanno più vivi?».

«Esatto».

Dario: «Non posso crederci, tu hai un’idea del perché?».

Mi gratto la testa: «Una teoria c’è l’avrei, ma è solo una teoria. Tranne una piccola percentuale di soldi che sono segnalati, toccarli vorrebbe dire galera. Questi luridi… da politici, ministri, capi di stato, reali, primi ministri, imprenditori, gente dell’intrattenimento, multinazionali, magnacci, sfruttatori, orrorifico in alcune attività: dalla tratta di essere umani, alla tratta di organi di bimbi che spariscono nel nulla, traffico di armi, droga eccetera… tutti con tantissimo pelo sullo stomaco. Pieni di Ferrari, yacht, residenze di lusso… insomma c’è qualcuno che non gli basta un milione di € al mese per il suo tenore di vita».

Dario: «Poca cosa!».

«Sei curioso di sapere chi fa da consulente a questi disgustosi mostri?».

«Altro che! Altri bastardi?».

«Gli Stati – caro mio – la City di Londra, la Svizzera, Malta e altri: permettono ad avvocati, finanziari e faccendieri che imbastiscono scatole cinesi o se preferisci matrioske russe e dopo dieci passaggi la pecunia finisce in qualche paradiso fiscale a dormire e a disposizione di “signori”, che si credono immortali. Ossessivamente convinti che al momento opportuno si possa comprare la linfa vitale. Tanti non redigono testamento; non avvisano i famigliari; le amanti o amanti. In breve, quando crepano, gli immensi patrimoni, che non serviti allo scopo vengono incamerati dalle banche. Infine, i funzionari più scaltri, se li spupazzano. Ma i bigliettoni, sono talmente tanti che non sanno neanche dove metterli e li tengono fermi per altri vent’anni a marcire invece di rimetterli in circolo in un ciclo virtuoso. Speriamo che provvederanno le nuove tecnologie a rendere i bigliettoni “carta straccia”».

Dario propone: «Oh! Potrebbe essere una botta di vita. Potremmo organizzare un hackeraggio e incanalare i dollari a nostro piacimento, ci teniamo il 30%».

«Esagerato» ribatto «basta il 3%. Sai non è una brutta idea. Tutta moneta sudicia; nessuno a reclamare a denunciare…».

Dario: «Hai notizie di Cristian? Cazzo quello aveva le palle. Hackerava, pure, il padre eterno!».

«No, ma non penso che ha fatto una bella fine».

«In che senso?».

«Le ultime notizie risalgono a una decina di anni fa. Ti ricordi che “pippava e tirava di naso”. Nel 1998 aprì una società a Bucarest e insieme a dei ragazzini realizzava software per la Nintendo; inizialmente andava alla grande; poi spostarono il lavoro in Cina e India e il povero Cristian restò di nuovo con il culo scoperto e per terra».

Dario: «Cazzo che sfiga!».

«Ho ancora qualche contatto… e dalle notizie che ho da Leopoldina “la chimica”; passo a droghe sintetiche: dal krokodil, shaboo8 e metanfetamina le provava tutte. E infine silenzio, nessuno ha avuto più notizie».

Dario: «Bene che vada se bevuto il cervello ma… forse è meglio che sia andato a riposare».

Triste: «Comunque era un grande».

Dario: «Gira a destra, cento metri e ci siamo». Lentamente il cancello si apre e un uomo corpulento ci viene incontro. «È Nestor la guardia notturna… per modo di dire. Appena tutto tace» dice Dario «si sdraia su un’amaca e dorme alla grande».

Mentre Nestor porta i miei bagagli in stanza, alzo gli occhi al cielo e la volta stellare è impressionante. Faccio un giro su me stesso a 360° e mi perdo nell’irreale davanti a tanta stupenda bellezza. Ho deciso: la prossima volta mi porto un telescopio.

Dario mi riporta con i piedi per terra: «Sono le due e mezza il tuo appartamentino è pronto. Sei da ventiquattro ore in piedi e sarai stanco!».

«Tutt’altro sono estasiato!».

«Vuoi mangiare qualcosa? Bere un cocktail di frutta?».

Ringrazio: «No, va bene così. Piuttosto, so che a questa latitudine l’alba è alle porte».

Dario: «Sappi, che l’aurora è alle cinque e il tramonto alle diciassette e trenta. Sono ambedue repentine: dal buio si passa al chiaro in pochi minuti e, pari-pari, dal chiaro al buio pesto. La colazione sarà pronta alle otto e…».

«Scusa Dario, non ho perso l’abitudine che mi perseguita da sempre: alle cinque sono in piedi. Non hai una bicicletta?».

«Quante ne vuoi, guarda là, all’alba scegli tu».

L’appartamentino è molto accogliente, spengo l’aria condizionata, faccio una doccia e mi metto a letto. Alle cinque, mi ritrovo con gli occhi aperti. Un gallo che canta e almeno altri tre che a intercalare rispondono, tutti pronti a zompare le galline. Un calzoncino, una t-shirt, un paio di ciabatte e esco. La struttura è stupenda, faccio un giro intorno e tutto è in ordine – si vede la mano di Dario – prato all’inglese, palme, piscina circondata da fuori esotici: mi ricordano l’Indonesia. Salgo sul patio arredato di sedie, tavoli, divani e, a poco meno di cento passi c’è l’oceano. Lascio le ciabatte e mi godo la sabbia sotto il palmo dei piedi. L’oceano è quello Atlantico, qui tira sempre il vento, ne consegue che è sempre incazzato. Il fondo non si vede mai. Sia a nord che a sud lunghi rettilinei sabbiosi, intervallati da insenature e promontori. È il posto ideale per gli sport glissè.9

Prendo una bicicletta a ruote larghe e mi avvio verso il centro del paese. Istantaneamente, si percepisce la grandissima differenza con la Posada. Le strade quasi tutte in terra battuta. Polvere dappertutto. Donne che spazzano davanti a casa, alzando altra polvere. Galline, galli, mucche, cavalli, asini e capre allo stato brado, cani spaparanzati sulle soglie delle case. Loro sono felici. L’aria è calda ma sopportabile, sarà per questo che alcune persone lavorano alacremente a costruire e riparare reti da pesca artigianalmente.

Niente di più né di meno, di quello che erano i nostri paesini, di pescatori, usciti dalla seconda guerra mondiale. Unica differenza: hanno tutti i cellulari. Alle otto. Torno in Posada. Alcuni clienti stanno facendo colazione sul patio.

«Ario, siamo qui!» Dario è al bar seduto su uno sgabello alto.

Ribatto: «Poso la bici è arrivo».

Insieme a lui c’è una bella signora e una ragazzina, altrettanto bella, alta, alle soglie della pubertà.

Dario: «Mia moglie Janet e mia figlia Nancy».

Facciamo colazione assieme, parliamo, più che altro, dei tempi passati e dell’amicizia tra me e Dario. Poi la cosa comincia a sembrarmi pallosa. Sorrido a Nancy: «Che ne pensi di portarmi un po’ a zonzo per questa stupenda spiaggia?».

La ragazzina si rabbuia in viso. Interviene Janet: «Per mezzogiorno abbiamo l’aereo per San Paolo».

Nancy: «Ancora oggi dai così posso…».

Janet: «Abbiamo i biglietti. Siamo stati qui per una breve vacanza. Lunedì deve tornare a scuola».

Nancy, si alza e gli scende qualche lacrima. Dario, la consola: «Verrai ancora qualche Weekend, poi arriveranno le vacanze estive e starai qui per tre mesi». Poi rivolto a me: «Ama tantissimo fare Kitesurf è molto brava».

Arrivano dei clienti e Dario avviandosi alla reception: «Ario, ti chiedo scusa, il sabato e la domenica siamo pieni di turisti, non prendertela se non ti do retta».

«Scherzi! Anzi, fai finta che non ci sia, mi visito tutto il possibile».

L’unicità del mio appartamento e che la veranda è proprio sotto una incredibile pianta di Cajù. Enorme. Oltre a dare una castagna eccellente, fa ombra e smorza il vento. Tutti i pomeriggi, nell’ora più calda, fatta una rigenerante nuotata in piscina. Mi spaparanzo sulla comoda amaca e dondolo. Mi faccio una pennichella.

E proprio mentre la mente comincia ad andare per altri lidi: sento farfugliare sopra la mia testa. Con un salto sul tronco del Cajù, una piccola scimmietta – con una coda lunghissima in base alle proporzioni del corpo – sembra fuggire a velocità impressionante da qualcosa. Passano pochi secondi e un’altra – leggermente più grande – tenta in tutti modi di assediarla. È chiaro, che c’è in atto un corteggiamento. Quello che insegue è un maschio e vuole chiavare. Con un salto carpiato il maschio sembra avere la meglio ma la femmina si lascia cadere – sobbalzo preoccupato – la lunga coda si attorciglia sul tronco a far da liana. Adesso la femmina è sul ramo sopra la testa del maschio che sorpreso perde terreno.

Ruotano talmente veloci che mi vengono le vertigini e mi gira la testa…Non c’è santo – penso – di solito, sono sempre dalla parte delle femmine, ma questa volta faccio il tifo per il maschio. E resto dell’avviso che se la femmina non vuole. Ti attacchi e tiri.

Il rollio continua, ma il maschio è in difficoltà, si vede perché ogni tanto si ferma come a studiare una strategia. Chissà cosa pensa!

A un tratto sento un’interferenza! Accidenti, eccoli! Porca puttana i due emisferi con le loro stringhe fluttuanti! Adesso i due si mettono a discutere e addio spettacolo.

Cerco di intervenire: «Il mio Io mi suggerisce che è meglio che ci godiamo a pieno questa vacanza».

“L’emisfero creativo” e “l’emisfero razionale” in coro: «Zitto! Il mio Io, il mio Io: esiste solo perché noi lo elaboriamo e, tramite le stringhe, le trasmettiamo alla mente che lo codifica».

L’emisfero creativo riflette: «Questa volta ha ragione. Ci rilassiamo? Guarda che posto!».

L’emisfero razionale serio: «Col piffero: qui una riflessione è d’obbligo».

Emisfero creativo: «Su cosa? Una scimmietta maschio che vuole chiavarsi una scimmietta femmina?».

Emisfero razionale: «Sei il solito cazzone! Sempre con la testa per aria nell’iperuranio!».10

Emisfero creativo: «Senti chi parla! L’ottuso ragioniere ventiquattro ore su ventiquattro a meditare, strolicare; perfettino fino alla nausea. Per fortuna che ci sono io, altrimenti il povero Ario non potrebbe neanche immaginare com’è una scopata meravigliosa».

Emisfero razionale: «Ah… sì! Il conteggio di quanto vuole stare a cavalcare glie lo fai tu?».

«Dai spara» conclude l’emisfero creativo.

Emisfero razionale: «Sparo che un sacco di persone vorrebbero lobotomizzare te o quantomeno ridurti al silenzio».

Emisfero creativo: «Ma oggi ti sta andando a massa qualche neurone per elucubrare la mia uscita di scena? Oh! Ma sono il creatore delle idee e fantasia!».

Emisfero razionale: «Dogmatici, assolutisti, tomi alti venti centimetri, tutti affaccendati a inculcarci cosa: che l’origine del dolore è la sete di vivere, accompagnata dalla sete del piacere e dalla cupidigia. Chiamano cupidigia le due scimmiette che vogliono trombare. E quindi, bisogna aprioristicamente spegnere questa bramosia. Rasando al suolo completamente il desiderio. È l’unica condizione ⎯ dicono i ciula ⎯ per la soppressione del dolore».

Emisfero creativo. Aggiunge: «E là dove la mortificazione del dolore è stato messo in atto cosa abbiamo avuto e abbiamo? Preti e vacanzieri pedofili, suore frustrate, ipocrisie dei comportamenti: parlo bene ma razzolano male. E impera e sta aumentando la dottrina razziale della pretesa dell’integrità della razza autoctona che tante guerre e atrocità ha seminato e ancora semina e nessuna pietà da chi fugge da guerre e carestie».

Emisfero razionale. Conclude: «L’annientamento dalla brama di vivere e di conseguenza del dolore è nella purezza: purezza di fede; purezza di volontà; purezza di linguaggio; di meditazione; d’esistenza; d’azione; d’applicazione; purezza nel sesso».

Emisfero creativo: «Ma che porca e zozza miseria vorrà dire purezza del sesso? L’hanno demonizzato dal peccato originale, eppure la gente ha sempre trombato come i grilli. Boh! Via! Via! Scappare lontano da chi predica purezza è l’annientamento totale dell’essere».

«Oh! Finalmente!» sospiro «È tornata l’armonia siamo un tutt’uno».

Riflettiamo. Perché Madre Natura ha dotato tutti di organi riproduttivi? Uomini, animali, invertebrati; tutti aizzati dall’orgasmo e attirati come calamite!

Certo, se per il comportamento degli animali tutto è più facile: quando è il momento è il momento. Un’annusata, una leccata alla passera e dentro fino in fondo. L’ho fanno quando gli pare e piace. Se ne strafottono di dove sono: «Art. 529 oltraggio al pudore? Ma di cosa parliamo, è una cosa commestibile?».

Ma senti questa: «L’offesa alla morale pubblica? Sto par di palle!». Lo ignorano per natura.

Forse… pensano: «Questi sono proprio rincitrulliti. Prigionieri di convenzioni, regole, leggi ad minchiam. Poveri imbecilli!».

Non sanno che per noi esseri umani è un po’ più complicato. Dobbiamo procurare stupore, ebrezza. E quanti sono gli ostacoli iniziali? Dire molte cose ridicole, dire molte cose serie, presentarsi come un adone, un riccone, corteggiare, argomentare, il profumo che la eccita – non possiamo toccarla e leccarla in pubblico. E la location? Mica è uno scherzo! E quando? Dipende al 99% da lei. Possono passare ore, giorni…

E le masturbazioni cerebrali dove le mettiamo? Alibi: se gliela do subito penserà che sono una troia; il mal di testa; le mestruazioni; mia zia è una suora e… mia mamma, mio padre, mio fratello e… la gente e… i vicini di casa, sensi di colpa, timidezze. E i tabù? C’è l’ho troppo piccolo, troppo grosso, eiaculazione precoce, il seno caprino, troppo grassa, magra! E meglio farlo al buio, vestiti. Tabù che resistono dalla notte dei tempi anche se i giovani ci danno dentro con un po’ di spigliatezza in più. Ma in pochi sanno delle conseguenze. Le famiglie, le scuole e… il sesso è tutt’ora un tabù.

Però, che esaltazione libidinosa per certe menti cosmiche e libere! Violare le regole, trasgredire alla morale, manomettere le resistenze, le colpe, le timidezze. E che dire delle sane perversioni che ci fa apparire l’attesa interminabile ma bellissima. E dove posizioniamo il senso del peccato? Non è divinamente arrapante?

Quando arrivi al sodo è lì che casca l’asino. Animali in generale e certi uomini, una sveltita e via. Quelli che lavorano con l’emisfero creativo che dà sfogo alla fantasia: slinguate dietro l’orecchio; attorcigliamenti delle lingue, ciuccio e morsetti ai seni e giù fino ad assaporare la manna degli Dei; masturbazione al clitoride o al pene, metterlo fra i seni, variare le posizioni, usare strumenti vibranti, guardare Sky dopo le ventitré, chi più ne sa più ne metta…

Bisognerebbe aggiornare il Kamasutra.

Intanto, il maschio, per niente domo, continua il suo assalto alla fanciulla che per il momento non ha nessuna intenzione di mollarla. Si fa desiderare, è una porca, così poi l’amplesso sarà più violento, più passionale. Il maschio ha un lampo di genio, scende velocemente e furtivamente sul tavolo della cucina. È fulmineamente, ruba una banana a Dario e torna sul Cajù. Mostra la banana alla femmina. Lei lo guarda, piega il visino umano da un lato, sosta qualche secondo, poi piega il visino umano sull’altro lato. Questa volta è Adamo che tenta Eva… e la storia si ripete. Con un salto è davanti al maschio, gli stampa un bacio sulla bocca, e mentre sbuccia e mangia avidamente la banana si gira. Permette al maschio di alzargli la coda e farsi spulciare nella zona intima, poi comincia a leccarla… è il momento…

«Dai impalala» dico ad alta voce. In quel momento passa Dario: «Oh! Ti sei rincoglionito? Parli da solo?».

«No, vieni qua c’è una scopata in corso.»

Dario non fa in tempo, il maschio ha già finito e si mette supino alla biforcazione di due grossi rami. Rivolto a Dario: «Forse era esausto, gli ha rullato attorno per un bel po’! Sono bellissimi, guarda che tinte e che espressione!».

Dario mi interrompe: «I locali li chiamano

Miko. Sono estremamente utili nel sistema biologico. Sono protetti. Il maschio lo distingui perché è più grande, e colori più marcati. Sappi, che non sta riposando ma si sta cibando di ambra. Poi cacano, e inseminano il terreno. Sono agilissimi, ogni tanto ci vengono a far visita, attraversando le strade e le zone sgombre di vegetazione sui fili del telefono».

Poi tace, probabilmente, ripensa al tarlo che gli rode da mesi.

«Ario, mi ascolti? Vorrei parlanti un po’!».

«Sono, qui apposta. Sentiamo».

«Hai visto la mia bimba?».

«Sì molto bella e non si può dire che non è tua».

«Sai che fatica conquistarla. Del resto, fino a cinque anni fa, mi vedeva tre volte l’anno e, l’altro giorno, piangeva perché adora stare con me».

«Sì» ammetto «Mi sono emozionato».

«A scuola se la cava bene, va sempre oltre la sufficienza…».

«C’è da esserne orgogliosi».

«Sta crescendo in fretta e… ha 12 anni e…».

«È normale, passano gli anni, noi invecchiamo e loro crescono».

«Si sta facendo donna eh! Sai?».

«Cazzo Dario, che ti rode, sputa il rospo?».

«Sì, insomma, da grande conoscitore dell’anima umano, tu credi che Nancy…?».

«Nancy cosa? Cosa?» ribadisco.

«Io almeno, ma penso anche tu, a dodici anni andavamo già a puttane».

«Questa è la prima volta che ti sento dire stronzate».

«Sto solo facendo supposizioni…».

Sorrido: «Ha dodici anni è normale che qualche prurito naturale cominci a turbarla. Abbi un po’ di fede, a Milano sono già vestite e truccate da adulte e poi, ci sono paesi che a questa età hanno già un figlio».

Dario rosso peperone: «Lo vedi, lo vedi, a questa età la passera va in calore e le ragazze cominciano ad avere il desiderio di qualcosa di duro. E poi ci sono quelli come noi, che a quell’età, sempre in giro a guardare oltre le finestre, spiare le macchine e in mezzo ai rovi e che seghe!».

Lo interrompo: «Calmati, scendi dal pero, sta nella natura dei fatti che prima o poi qualcuno la pompa alla grande».

Dario: «No! No! No! Non adesso, almeno a trent’anni… forse. E No! E no! Perché la prima volta è come la ciliegia una tira l’altra. E alla meno peggio ci prenderà gusto, andrà in brodo di orgasmi… contribuirà!!!».

Dario, suda e impallidisce alla sola idea.

Mi rendo conto di tanta inquietudine e: «Per Giove. Dalla cima del Corcovado, il Cristo Redentore ha fatto proseliti». Risoluto: «È ora che apri il tuo scrigno dei ricordi».

«Cosa intendi?».

«A cosa è dovuta tutta questa ansia. A qualche episodio del passato?».

«No, questo no. Ti prego!».

«Solo due, i più ingenui, ingenui… non calco la mano».

Dario: «Fermati! So già dove vuoi andare a parare».

Imperterrito: «Quante del gentile sesso hai scopato in quel periodo? Diciamo trenta ⎯ quaranta ⎯ cinquanta, e sono ancora poche. Vado a sconto».

Abbassa la testa e io continuo: «Istanbul ⎯ lascia rifiorire la tua memoria ⎯ entrammo in una specie di pub, all’epoca essere alti, capelli biondi e occhi azzurri era il massimo per abbordare. Pazzi per gli italiani. Sgamati all’istante da come vestivamo. E manco a dirlo, una ragazza vestita e truccata all’occidentale, non ti tolse gli occhi di dosso. Finché, bicchiere in mano, gli facesti compagnia per circa una mezzora. Infine, venisti da me a chiedere il da farsi. «Ario! Mi desidera da morire, però è vergine e tale vuole rimanere. Pena: non troverà mai un marito!».

«E dunque?».

«In hotel non può venire, il motivo lo sai! Dovremmo farlo all’aperto, magari nel parco… mi dovresti coprire».

Passa qualche secondo: «Cerco di capire. Se non ti fa chiavare. Ti fa una sega? Un pompino?».

«No, si farà prendere da dietro, insomma la sodomizzo».

«Quella volta fui imprudente… ti coprii. Riteniamoci fortunati, se ci beccavano ci sbattevano in galera, per mia opinione era minorenne; e avrebbero gettavano via le chiavi. Cazzo di budda! Ti ricordi com’erano le carceri turche? A quest’ora avremmo tutte le ossa rotte e il buco del culo a fisarmonica».

Dario ora è calmo, riflette: «Hai ragione, ma basta lascia perdere».

Senza scampo: «E quella sera a Parigi? Quando agganciasti quel pezzo di strafica da copertina da rotocalco. A dir la verità ti accalappio lei. Visto come andò a finire. Era con il marito, ti disse che non era geloso, anzi, gli sarebbe piaciuto guardare. Il fattaccio è stato che mentre, sulla Bentley, ti sbattevi alla grande la cavallona, lui cominciò ad accarezzarti dietro. Il giorno dopo fummo convocati dal consolato svizzero. Il burocrate “di merda” spiattello sul tavolo una serie di fotografie. L’avevi gonfiato da fare paura. Oltretutto, era un ricchissimo imprenditore, famosissimo a livello internazionale. Quante rogne!».

Dario, si sfrega gli occhi e accarezza il viso: «Hai letto? Poco dopo fu preso in una retata, insieme alla moglie in un castello della Loira, in un festino a luci rosse; nudo come un verme. Girava a quattro zampe tra i tavolini. Lei lo teneva al guinzaglio e lo frustava; aveva il culo rosso come un pomodoro maturo».

«Un povero cristo».

Dario: «Povero cristo sì! povero cristo no! Le sue auto non le compro! Uhm! Le ho fatte belle grosse eh! Tu sempre a coprimi!».

Annuisco: «Dunque, per farla breve, la realtà si mostrerà a tua figlia, come si è mostrata a te a me e a tantissimi altri. Tutto procederà come dovrà procedere. Un ragazzo con un fisico scolpito come i Bronzi di Riace; ne ho visto più di uno insegnare kitesurf. O un ragioniere “occhialuto”. Nancy, prima o poi sarà sverginata e, se curiosa: sodomizzata».

«No sodomizzata mai, e poi mai è la mia bimba!».

«A meno che!» ribatto.

Dario curioso: «A meno che!».

Divertito: «Che Madre Natura, non decida che Nancy sia “ermafrodita”».

«Ermafrodita? Di che cazzo parli!».

Bevo un sorso di succo di mango: «Vivrà un’esistenza sia come uomo che come donna, e non farà mai sesso di nessun genere, vivendo felice accanto a te».

Dario, si alza, si frega le mani: «Ostia divina. Questa è buona. Stasera mi reco nella boscaglia e pago per farmi fare una macumba a Madre Natura. Che dici?».

Rido sereno e: «Vaffanculo! Dario, vai a fare in culo!».

E Dario allontanandosi: «Ma che può fare un povero padre? Me l’ho dici! Aaah… Ario! Ma perché mi mandasti in Portogallo… E quanto sarebbe stato meglio se mi fossi fatto una sega o messo un preservativo».

HS

[3] Una delle più belle città del Nord Est del Brasile è Natal, con le sue spiagge meravigliose, il tempo bello ed il clima caldo tutto l’anno, un vero paradiso dove rilassarsi e godersi il Brasile da cartolina.

[4] In informatica, i pop-up sono degli elementi dell'interfaccia grafica, quali finestre o riquadri, che compaiono automaticamente durante l'uso di un'applicazione ed in determinate situazioni, per attirare l'attenzione dell'utente. Tipici pop-up sono quelli contenenti pubblicità e che compaiono nel browser durante la navigazione sul World Wide Web.

[5] Signore e Signori serviamo la cena.

[6] Signore e signori sono le 23.00, siamo arrivati all’aeroporto di Natal.

[7] Qamishli - Mosul 200 km. di strada che unisce la cittadina di Qamishli posta a nord della Siria alla città di Mosul a nord dell’Iraq. Alcuni tratti erano veramente intransitabili e estremamente pericolosi.

[8] Krokodil - Shaboo: Droghe sintetiche che provocano danni devastanti.

[9] Glisse: L’insieme di sport acquatici a vela.

[10] Iperuranio: Secondo Platone l'Iperuranio è quella zona al di là del cielo (da cui il nome) dove risiedono le idee. Dunque l'iperuranio è quel mondo oltre la volta celeste che è sempre esistito in cui vi sono le idee immutabili e perfette, raggiungibile solo dall'intelletto, non tangibile dagli enti terreni e corruttibili. È importante notare che nella visione classica la volta celeste rappresentasse il limite estremo del luogo fisico: la definizione di "oltre la volta celeste", dunque, porta l'iperuranio in una dimensione metafisica, aspaziale ed atemporale e, dunque, puramente spirituale.